La costruzione degli spazi sociali

Il corpo massiccio di Tor Bella Monaca è attraversato da un paradosso: nel quartiere più pubblico d’Italia mancano gli spazi pubblici.
I luoghi d’incontro e di vita comune sono stati pensati, disegnati e realizzati. Ma poi sono rimasti in gran parte abbandonati, deserti, privi di funzioni vitali, a volte contesi tra cittadini e criminalità.

Il risultato è un quartiere popolare in cui lo spazio pubblico non è quasi mai frutto di progettualità, ma nasce in modo spontaneo, caotico, spesso improvvisato.
È vuoto istituzionale colmato dalla buona volontà e dall’impegno di cittadini e associazioni.
È la risposta artigianale a una necessità di stare insieme, di fare insieme.

Ciò che esiste ed è vitale è in gran parte la conquista di esperienze di autorganizzazione che i cittadini portano avanti per garantirsi il diritto alla cultura e alla socialità.

Fin dai primi anni, il quartiere si anima e si colora di iniziative e manifestazioni auto promosse da chi lo vive e lo vuole vivo.

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Festa di carnevale - 1996

Per realizzare quest’opera di ricostruzione di una dimensione collettiva, gli abitanti agiscono sulle molte potenzialità di Tor Bella Monaca: edifici con ampi spazi comuni, numerose aree verdi, una progettazione che ha seguito logiche di fruibilità e accessibilità.

È così che luoghi destinati all’abbandono acquisiscono un ruolo nuovo e vitale.

Come nel caso dell’Ente Comunale di Consumo di Largo Mengaroni.
Aperto e chiuso nel giro di pochi anni, l’edificio viene rivendicato come centro anziani e come sede del battagliero Sindacato Italiano Diritti degli Invalidi, fondato da Pietropaolo Giuliano, che promuove fondamentali battaglie di civiltà di rilevanza nazionale.

Agli inizi degli anni ‘90, poi, Largo Mengaroni diventa il cuore di una delle esperienze sociali più generative e longeve della zona:

El Chentro Sociale Tor Bella Monaca

Volantino autoprodotto
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L’apertura del centro sociale suscita curiosità e scetticismo.

C’è chi si dice sicuro che non durerà e chi si chiede come verranno gestiti i rapporti con i giovani di destra che cominciano ad affacciarsi nel quartiere.

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da “Massimo rispetto” di Paolo Virzì - 1994

Oltre ad offrire a ragazze e ragazzi un luogo di incontro, El Chentro ha il merito di intercettare e soddisfare un potente bisogno di esprimersi.

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da Archivio Compagnia delle Bollicine - 2006

Da sempre, quindi, le pratiche di autogestione innervano e nutrono tutto il territorio di Tor Bella Monaca.

Ne sono un esempio nitido anche le aree verdi del quartiere, insolitamente numerose ma spesso incolte e trasandate.

Il Messaggero - 30 ottobre 1993

Spazi che i cittadini negli anni hanno difeso dall’arrivo del cemento e che hanno popolato con esperienze di cura e valorizzazione: orti urbani, un centro bocciofilo, intere porzioni di parchi pubblici risanate, aree cani.

Sorte analoga anche per i locali comuni all’interno dei comparti, come dimostra la vicenda della Casa di Alice, una ludoteca autogestita e gratuita, nata nelle stanze di un ex lavatoio dell’R5, recuperato da un gruppo di mamme del comparto.

Infine, le piazze, numericamente scarse.

Oltre a Largo Mengaroni, ce n’è solo un’altra, piazza Castano, battezzata così dai cittadini anche se ufficialmente non esiste.

Entrambe questi luoghi si reggono su un equilibrio fragile, essendo al contempo centri di spaccio della droga e punti di aggregazione sociale, palcoscenici per l’esibizione del potere criminale e collettori di attivismo.

Edifici abbandonati, locali comuni nei palazzi, piazze, parchi.

In 40 anni, gli abitanti di Tor Bella Monaca hanno provato a costruire socialità ovunque, spesso con successo.
Nel farlo, hanno trovato anche sponda nell’attivismo cattolico, nel lavoro di religiose e religiosi che, fin dalla metà degli anni ‘80, hanno messo a disposizione del quartiere servizi socioeducativi di primaria importanza, come doposcuola e centri diurni.

Gli interventi pubblici, invece, si sono rivelati in gran parte inefficaci, pur a fronte di moltissimi soldi spesi.

Emblematico, in tal senso, il progetto Urban, realizzato nell’arco di un decennio, dal 1996 al 2006, con 40 miliardi di lire di fondi europei.

Un vasto piano di interventi materiali e immateriali che ha però lasciato sul campo una sola esperienza significativa, quella del Teatro Tor Bella Monaca, e tante briciole.

Fortunatamente, da alcune di quelle briciole i cittadini, ancora una volta autorganizzandosi, sono stati capaci di far germogliare storie di vera e radicale resistenza.

Il Cubo Libro

Come quella di un anonimo cubo di cemento divenuto biblioteca di quartiere e presidio del diritto alla cultura.

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La comunità di Tor Bella Monaca

La narrazione a senso unico di Tor Bella Monaca, quella che la inchioda al suo stereotipo di quartiere degradato e criminale, va in frantumi appena si accetta di osservare le cose da un’altra prospettiva.

Magari dall’alto, per avere una visione di insieme della moltitudine di realtà che nel quartiere lavorano, costruiscono, progettano.

Sono le tante associazioni e realtà del quartiere che raccolgono l’eredità delle lotte del passato e si impegnano nel presente nella costruzione di una comunità educante che si prende quotidianamente cura dei bisogni del quartiere.

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comunità educante

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